Makers a Roma: gli "hacker"  che stampano Stradivari - LASTAMPA.it

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Makers a Roma: gli "hacker" che stampano Stradivari Artigiani del futuro, manipolano la materia e producono statue, case, hardware e altro ancora. Grazie a stampanti 3D

CLAUDIO LEONARDI
Si chiama “makers” il nuovo fenomeno figlio di Internet, ma dilagato fuori dalla realtà virtuale, nel mondo reale. Si possono definire artigiani tecnologici, progettisti fai da te, inventori di futuro. Sono il prodotto della filosofia open source (disponibilità di idee e di mezzi per chiunque, sempre) e di un bel po' di intraprendenza e creatività. Sfileranno oggi al World Wide Rome, l'evento organizzato presso l' Acquario Romano di piazza Manfredo Fanti nella Capitale, introdotto dal direttore di Wired Usa Chris Anderson (trasmesso in diretta streaming dalla Stampa) che del fenomeno è stato pioniere.
Si tratta di qualcosa di più di una moda, se già si parla di nuova rivoluzione industriale. C'è chi profetizza il tramonto di società come la General Motors, e l'alba di una imprenditorialità individuale. La chiave di volta di questa nuova era si chiama stampante 3D, macchina in grado di produrre qualunque oggetto così come in casa possiamo stampare qualunque documento.
Il salto di qualità di questa tecnologia, in uso da circa trent'anni nelle fabbriche, lo si fa risalire al 2009, grazie al trentottenne Bre Prettis. Il creativo di Brooklyn ne ha creata una propria, chiamata Maker-Bot, il cui costo era di mille dollari, 100 volte inferiore a quelle fino ad allora in commercio.
Il vaso di Pandora era stato scoperchiato, a partire dalla Maker-Bot è uscito ogni tipo di creazione: una società tedesca ha conquistato la copertina su The Economist stampando un violino, l'architetto italiano Enrico Dini trasforma la sabbia in oggetti di design, case o barriere coralline artificiali, il museo Smithsonian ha replicato la statua di Thomas Jefferson, che troneggia a Washington, a Monticello.
L'innovazione è “tutta” qui: si può progettare, ideare e infine produrre un oggetto a costi abbordabili anche per imprese a conduzione singola, magari rifugiate in qualche garage come successe ad aziende che si sarebbero poi chiamate Apple o Microsoft.
Il fenomeno nasce negli Stati uniti, ma in Italia, come si è detto, non ne mancano esempi. Come quello di Massimo Banzi, già inventore di Arduino, una forma di hardware open-source applicato a diversi campi produttivi. E le nuove “botteghe” tecnologiche spuntano sulla Penisola, da Vectorealism a Kent’s Strapper. A Torino dal 17 Febbraio c'è qualcosa di identico agli spazi FabLab americani, autentiche officine open source che mettono a disposizione gli strumenti dei nuovi artigiani: chi ha bisogno di frese, lasercut e stampanti 3D può fare visita al laboratorio in Via Egeo 16, ospite delle Officine Arduino.
Nel 2010 Chris Anderson scrisse un saggio dal titolo "Gli atomi sono i nuovi bits". Era una osservazione, non una ipotesi: presso il Mit di Boston era nato un "Center for bits and atoms", officina ai limiti della magia dove si poteva materializzare quasi qualunque prodotto, e sicuramente molti sogni. Anderson ha dimostrato anche di avere imparato subito la lezione, creando una fabbrica casalinga di droni che vende kit per aeromodellini con videocamera e fattura, secondo quanto scritto da Riccardo Luna su Repubblica, circa tre milioni dollari all'anno.
L'era della riproducibilità totale sembrerebbe avere così superato l'ultimo steccato: gli oggetti fisici. Comprensibili gli entusiasmi per una promessa di rivoluzione, ma il tramonto dell'artigianato vecchio stampo potrebbe presto rivelare aspetti malinconici e meno eccitanti. Ci si potrebbe chiedere cosa succederà quando tra i “makers” nascerà qualcuno che deciderà di riprodurre Smith and Wasson, vale a dire armi da fuoco. Ma non si può porre questa domanda ai giovani demiurghi degli atomi: le ricadute di una rivoluzione sono sempre preoccupazione delle generazioni precedenti. E compito di quelle future.
(L'immagine è tratta dal video di presentazione della storia di MakerBot su YouTube)


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